martedì 8 maggio 2018



 
 
Capitolo XIX
 
(trascrizione a cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)
 
27 settembre 1719
Disertori spagnoli vendono i propri cavalli e si imbarcano per la Calabria 27 settembre. Vennero in questo giorno molti desertori spagnuoli fuggiti furtivamente dalle loro truppe remaste in questa Comarca, cossì di cavalleria come di fanteria. E venduti gli cavalli coll’arme di baratto, nell’occasione che s’incontra sono rimessi in Calabria.
 
28 settembre 1719
I malviventi dell’hinterland ammansiti dalla presenza delle truppe imperiali. I civili alle prese con le vendemmie e con la vendita dei mosti prodotti. Si concede ad alcuni contadini dei comuni limitrofi l’ingresso in città per la vendita di vettovaglie 28 settembre. Nella Piana non sieguivano tante strettezze dalli villani della Comarca, non tanto per la loro buona intenzione, quanto per il timore di non esser catturati dalli Tudeschi. Poiché molte battuglie giornalmente uscivano dalla città, scorrendo per il territorio. Onde s’attendeva con alcuna tranquillità dalli cittadini a farsi la vendemmia delle lor vigne, colla vendita di quel puoco vino mustale che si producea o con lo trasporto nelle parti convicine, non avendo intenzione gli padroni condurlo in città e per non aver ove collocarlo e per mancanza di botti. Anzi, s’ha permesso che descendessero in città dalla Comarca alcuni villani colla condotta di casci o oglio, frutti, erbe ed altre consimili vettovaglie per venderli. E benché si vendesse ogni cosa a prezzo molto caro, almeno si ritrovavano in città.
 
29 settembre 1719
Gli aristocratici di Pozzo di Gotto Zangla ed Oliveri con proprio bando inibiscono i rifornimenti di viveri verso Milazzo. Ma si sviluppa comunque un rifornimento occulto a prezzi raddoppiati 29 settembre. La malvagità ed ostinazione di Paolo Zangla e di Don Francesco Oliveri della città di Puzzo di Gotto ancor persistea contro gli abitatori di questa [città], stanteché di lor ordine si promulgò bando penale contro tutti quei li quali avrebbero preteso abbassare [recarsi, ndr] in questa città per vendere qualunque sorte di vettovaglie. Anzi si fecero radunare molti villani del loro paese con farli mettere nelle strade consuete per impedirsi la communicazione. Ed infatti molti poveretti, con tutto che avessero preteso nella notte passare e conferirsi in questa, furono arrestati da detti villani posti di guardia nelle vie publiche e condotti carcerati in detta città di Puzzo di Gotto, ove - colla composizione delli sudetti di Zangla ed Oliveri - con alcuno pretesto erano rimessi. Ed altri, per non soffrir lo carcere, nell’istante che erano presi si componevano con li villani qual erano di sentinella. Perloché da nuovo si tolse il commercio e communicazione dell’intutto in questa città dalla Comarca. Bensì molti più astuti, di nottetempo, prattici nella Piana, faceano il camino per le strade non frequentate e la mattina si conferivano nella città per far vendita o d’oglio o di formaggio o altre cose comestibili, rischiando o di perder tutto o di provecciarsi al doppio vendendo quei viveri che conducevano.
 
Un bando adottato dagli amministratori municipali di Milazzo ordina che vengano disposte luminarie per festeggiare il compleanno dell’imperatore Carlo Sesto Si promulgò bando publico d’ordine delli giurati di questa che da tutti gli abitatori di qualunque condizione si facesse per tre sere continue una luminaria commune per il giorno festivo e natalizio del nostro Augustissimo Imperadore Carlo Sesto e Re Cesareo e Cattolico col nome Terzo di questo Regno. Quale avrebbe seguito il primo del mese entrante d’ottobre. Ed infatti si complì generalmente da tutti con molto contento e consuolo, come fedeli vassalli del primo monarca del mondo.
 
30 settembre 1719
Otto disertori spagnoli, tre di cavalleria e cinque di fanteria, vendono cavalli ed armi e si imbarcano per la Calabria 30 settembre. Fuggirono dalle truppe spagnuole che si ritrovavano in questa Comarca otto soldati, tre di cavallo e cinque di fanteria. E venuti in questa [città] si venderono gli cavalli e l’arme. Ed avuta la commodità si rimesero in Calabria.
 
Misterioso arrivo d’una galera proveniente da Napoli e diretta a Messina Venne in questo Porto una galera di Napoli, conducendosi alla città di Messina. E l’istessa notte s’incaminò per quella città. Non s’ebbe notizia della caggione della sua venuta.
 
1 ottobre 1719
Dettagliata descrizione dei festeggiamenti solenni in occasione del compleanno dell’imperatore Carlo Sesto. Prevista tra l’altro una funzione religiosa nell’odierno Duomo antico, dove viene intonato il Te Deum Primo ottobre. In questo giorno si fece per tutta la città un festino sollennissimo per il giorno natalizio di sua Cesarea Cattolica Maestà l’Augustissimo Imperadore. Poiché si viddero apparamentate tutte quelle fenestre delle case remaste in piedi con panni di seta e tappeti, avendo complito qualunque persona di qualsisia condizione e per quanto si puoteano stendere le sue [proprie] forze. Anzi, il giorno scorso, gli spettabili giurati aveano convitato con viglietti [biglietti, ndr] tutta la nobiltà che allora esistea in città per assistere alla funzione da farsi nel Duomo. Ed, infatti, così la nobiltà sudetta come molti cittadini, addobbati con gli vestimenti più ricchi che teneano, fecero corteggio a detti signori giurati, li quali - con le loro toghe negre, cappelletti e rondiglie «all’imperiale», per il privilegio che godevano - assistendo pure il signor capitano di Giustizia, si condussero in casa del coronello comandante con un cocchio capace, seguiti dal loro banditore pure colla sua toga di cremesi [cremisi, tonalità di rosso, ndr], vestito di terzo pelo incarnato, e dalli due mazzieri colle sue mazze d’argento, quattro servienti o paonazzi e quattro trombette colle loro libree [livree, ndr], tutti a cavallo. Ove [al Borgo, presso il Palazzo del Governatore, abitazione del comandante, l’autorità militare, ndr], preso detto signor comandante, si posero in cocchio e col seguito di tutta la nobiltà della città e di tutti quei officiali tudeschi quali si ritrovavano nella Piazza, parte a piedi e parte a cavallo, s’incaminarono per la Cittadella. Ed entrati nel Duomo sudetti signori coronello comandante, capitano di giustizia e giurati, fatt’ala da detta nobiltà ed officiali, a suono di trombe, ricevuta l’acqua benedetta dal maestro di ceremonie della città con aver adorato l’Altissimo, s’assisero nel solito soglio. Ed in questo uscì dalla Sagrestia il molto reverendo arciprete di questa [città, ndr], vestito alla pontificale [e] associato da tutto il clero a tal funzione previsto. Ed arrivati tutti all’altare col loro ordine s’intonò dal detto reverendo arciprete il Te Deum, replicandosi dalla cappella de’ musici sino al fine con intricata sinfonia e concerto musicale. Ed intuonato il Te Deum si sentì il rimbombo di tutte l’artegliarie così nel Castello Regio e bastioni in detta Cittadella, come nell’altri di tutta la città, col triplicato disparo di detti cannoni. Anzi sieguì altro interpellatamente per tre volte di moschettarie dalle truppe tudesche convocate a tal effetto nel Piano del Duomo. E, di più, il capitano di Giustizia, per aver portato da sessanta soldati paesani per suo decoro, questi pure sieguiro[no] il loro disparo delli schioppi. E finita questa funzione del Te Deum si dispose la celebrazione della messa cantata, qual si disse «alla pontificale», col canto musicale della cappella deputata dalla città, replicandosi il disparo delli cannoni e moschetterie. E - finita la sollennità - il comandante e li giurati col medemo corteggio si retirarono. Bensì il primo non volse ponersi più in cocchio cogli officiali militari ed altri nobili. E li giurati con molta pompa si condussero in casa particolare per deponer la toga. E la medema sera si proseguì più splendente la luminaria per esser l’ultima; e con molto brio e giubilo di tutti questi abitatori.
 
 
 
Monumento sepolcrale innalzato in memoria del giovane Carlo Wallis, ufficiale imperiale del reggimento Wetzel, presso la chiesa dell’Annunziata di Tropea (fotografia di Giovanni Lo Presti). Carlo si distinse durante la Battaglia di Milazzo del 15 ottobre 1718, in occasione della quale si guadagnò il grado di capitano. Prese quindi parte alle successive vicende dell’Assedio, ma un morbo contratto tra le tende dell’accampamento di Milazzo ne consigliò alla fine del marzo 1719 il trasferimento a Tropea, dove giunse a bordo di una feluca il 27 di quello stesso mese. Purtroppo per lui la permanenza in Calabria fu piuttosto breve. Appena 12 giorni dopo, in una corrispondenza da Tropea, il Corriere Ordinario dava notizia del suo decesso - aveva 24 anni - con queste parole: «Alli 9, dopo longa e penosa infermità, morì il capitano del reggimento Wetzel sig. conte Wallis, nipote di questo generale di tal cognome, che la mattina delli 10, con tutti gl’onori militari e coll’accompagnamento di tutti gli uffiziali maggiori e minori, fu sepellito nella chiesa della Santissima Annunziata de’ Padri Riformati, havendosegli precedentemente levato il cuore, che imbalsamatosi si deve mandar in Germania al sepolcro de’suoi maggiori». Lo stesso numero del Corriere Ordinario (17 maggio 1719, pag. 82) dava notizia del miglioramento delle condizioni di salute dello zio George Olivier Wallis, il quale, partito da Milazzo, si era ritirato in convalescenza a Tropea il 19 marzo 1719: la notizia della sua partenza era stata accolta favorevolmente dai Milazzesi che gli addebitavano la distruzione della maggior parte dei quartieri della città.   
 
                                                             D.O.M.
                                                               Ossa
                                  Caroli Lib: Baron: A Wallis Et Carigmaine
                                                     ex linea Leschkav
                                                               quem
                                         post praestita S.C.C.M Carolo VI°
                                                   ut ephoebus servitia,
                                                           et inde sibi
                                     apud incl. reg:n Wezelianum collatos
                                                     capitanei honores,
                                       ardua ad Melazzum Siciliae pugna,
                                                             et hanc,
                                         secuta graviori longaq: ab hispanis 
                                                 passa ibidem obsidione, 
                                                     vivum superstitem,
                                                indigna morbi vis peremit,
                                                     aetates annos XXIV.
                                  Troppeae Calabriae die 9 April. MDCCXIX.
                                                            ora pro eo
 
 

 
 
2 ottobre 1719
Diciassette disertori spagnoli di cavalleria e fanteria vendono armi e cavalli e si imbarcano per la Calabria. Incursioni delle truppe spagnole fin sotto le mura di Milazzo 2 ottobre. Desertarono tutti ad un tratto ed uniti dicisette soldati spagnuoli, parte di cavallo e parte di fanteria, con aversene fuggito dalle loro truppe, le quali allo spesso scorrevano in questa Comarca e più delle volte nel territorio, arrischiando pure di notte venir pochi passi lontani dalle mura della città. E li sudetti soldati nell’instante si vendevano gli cavalli e l’arme e - avuta la commodità dell’imbarco - non si trascurava farli passare nella Calabria.
 
3 ottobre 1719
Galera di Napoli ed alcune tartane giungono da Messina per caricare bombe A 3 ottobre. Approdò in questo porto una galera di Napoli con alcune tartane venute da Messina. Con molta fretta e sollecitudine caricarono quantità di bombe ed a Vespro s’incamminarono di nuovo per quella città.
 
4 ottobre 1719
Ancora disertori spagnoli, due di cavalleria e quattro di fanteria A 4 ottobre. Vennero sei soldati spagnuoli, due di cavallo e quattro pedoni, fuggiti dalle loro truppe. Venduti li cavalli e l’arme, con sollecitudine s’imbarcarono per Calabria, non richiedendosi più d’alcuna relazione poiché s’avea osservato non darsi veridica.
 
5 ottobre 1719
Truppe spagnole nel territorio comunale di Milazzo grazie alla fedeltà delle popolazioni dei comuni dell’hinterland A 5 ottobre. Venne notizia in città che gli Spagnuoli, con tutto che avessero passato la Piana della citta del Castro Reale, pure molta quantità s’avea trattenuto in questo territorio, facendo molte scorrerie, trattenendosi di buon genio per demostrarsi loro molt’affezionati gli paesani della Comarca, specialmente quei del Castro e di Puzzo di Gotto. Tanto [che] in questa città molto si sentea la carestia di qualunque vivere, non puotendo venire dalla Comarca.
 
6 ottobre 1719
Tartane provenienti da Napoli si dirigono a Messina. Gli Imperiali - partiti da Messina - si spingono sino a Pace del Mela, in prossimità del torrente Muto, cacciando le truppe spagnole che si rifugiano a Castroreale: per le forniture di viveri destinate a Milazzo finalmente una boccata d’ossigeno A 6 ottobre. Capitarono da Napoli molte tartane con provisioni di bocca e di guerra. E senz’aver dimorato, la notte fecero vela per il Faro di Messina.
S’intese che molti tudeschi nominati Micaletti, partiti dal campo nelle parti di Messina, scorsero sino al fundaco del Muto. Tanto che gli Spagnuoli furono slogati da quelle contrade e si retirarono nel territorio del Castro e parti convicine. Onde questa città ottenne questo respiro.
 
7 ottobre 1719
Giungono nel Faro di Messina, verosimilmente da Napoli, 40 vascelli con a bordo 12.000 militari imperiali. Nove disertori spagnoli sfuggono alla cattura e s’imbarcano per la Calabria A 7 ottobre. Ben mattino in questo giorno si scuoprirono da lontano molt’imbarcazioni. Si presuppose venir da Napoli e la sera si numerarono da 40 vasselli grossi che entravano nel Faro di Messina. Approdando in questo porto una saittia [saettia, nave veloce, ndr], sopra la quale si ritrovava un comandante tudesco, [il quale] parlò con questo signor comandante e riferì che per l’armata cesarea venivano sopra gli vassalli [vascelli] che s’osservarono da dodecimila soldati tudeschi. E la notte pure partì in traccia di detti vascelli.
Si fecero a vedere ben tardi nove soldati spagnuoli, due di cavalleria e l’altri fanti, fuggiti dalle loro truppe, le quali scorreano in questa Comarca. Riferirono aver patito alcun’incontro cogli villani di essa Comarca, pretendendo questi in ogni modo arrestarli. Ma doppo scamparono e, retirati in questa [città], alcuni voleano prender partito [volevano arruolarsi per l’Imperatore d’Austria, ndr], [ma] non li fu permesso. Perlochè, vendutosi gli cavalli e l’arme conforme gli altri desertori, s’inviarono con barca in Calabria.
 
8 ottobre 1719
Uno dei suddetti navigli approda a Milazzo, dove giunge il sacerdote Fortunato Sances, inviato dagli amministratori comunali di Pozzo di Gotto. Riferisce che quest’ultimo comune è disposto a sottomettersi alla Corona d’Austria. In verità - come suggerisce l’Autore - gli amministratori di Pozzo di Gotto temporeggiano astutamente 8 ottobre. All’alba approdò in questo porto una nave carica di soldatesche tudesche con alcune provisioni, quale venia da Napoli unitamente coll’altre che nel giorno antecedente aveano entrato nel canale di Messina. Non si puotè penetrare se a bello studio ed arte o forzata dal vento avesse entrato in questa. Bensì sul tardi s’incaminò come gl’altre per la medema strada. Avendosi da più giorni dal signor comandante di questa usato ogni piacevolezza verso le città e terre di questa Comarca, affinché venissero all’obedienza di sua Maestà Cesarea e Cattolica (giac[c]hé gli Spagnuoli aveano slogato dalle loro contrade con aversi inviato l’avviso, stante il nuovo indulto concesso generalmente), si fece in questo giorno a vedere in città il sacerdote Don Fortunato Sances della città di Puzzo di Gotto, da parte delli giurati di essa. Rappresentando al signor comandante in questa città che avrebbero quelli venuto all’obedienza, essendo molt’esposti. Ma aveano stato trattenuti a causa che nelle parti convicine del loro territorio esistevano ancora molte truppe spagnuole, le quali s’avessero penetrato la loro venuta puotevano facilmente danneggiar la loro città e territorio. E che partiti gli Spagnuoli avrebbero venuto liberamente a render l’omaggio all’arme cesaree, volendo esser obedientissimi. E la clemenza di detto comandante accettò la loro legitimazione, con tutto che s’avesse conosciuto procedere ciò per la loro sperimentata infedeltà, temporeggiando per quanto puoteano, per essere tutta la Comarca molt’affettionata cogli Spagnuoli, specialmente quei del Castro Reale e di detta città di Puzzo di Gotto.
 
9 ottobre 1719
Gli amministratori comunali di S. Lucia del Mela giurano fedeltà all’Imperatore Carlo VI 9 ottobre. Vennero gli giurati della città di Santa Lucia a prestar l’obedienza a sua Maestà Cesarea Cattolica innanzi il detto signor comandante della Piazza, dandosi il giuramento di fedeltà a nome di tutta detta città. Giurando con le ceremonie consuete di manutenersi per sempre fidelissimi al servizio reale dell’Augustissimo Carlo Terzo. E, come si publicò, la funzione del giuramento sieguia con molto fausto.
 
Giungono viveri in città Inoltre da detta città discesero molti villani in questa città conducendo oglio ed altri viveri per venderli. Del che essi molto si lucravano sopra il prezzo, con tutto che fosse stato non tanto alterato [malgrado il prezzo non fosse elevato, ndr] come quello che si comprava venuto dalla Calabria. E gli cittadini di questa riceveano alcun ristoro col sostentamento delle vettovaglie, delli quali si campava in molta scarsezza.
 
10 ottobre 1719
Anche gli amministratori municipali di Pozzo di Gotto giurano fedeltà a Carlo VI. Ma con qualche timore, visti i precedenti 10 ottobre. Discesero gli giurati della città di Puzzo di Gotto per render l’omaggio dovuto al nostro Re Carlo Terzo, dando il giuramento innanzi il comandante della Piazza colle solite ceremonie. E benché avessero venuto con alcun timore - ponderando forse gli suoi [i loro, ndr] deportamenti in tempo che esistevano gli Spagnuoli coll’assedio di questa Piazza, con averli sempre favorito stante l’inchinazione avuta, anzi con molti rimproveri in faccia fatti a questi abitatori stimati rubelli per non averli assecondato nelle loro malvagità - nondimeno dall’umanissima compitezza di questo signor comandante furono ricevuti con ogni loro soddisfazione. E mai si puoteano presupponere tanta clemenza per aversi publicamente rappresentato le loro ignoranti indiscrezze e malizie.
 
11 ottobre 1719
Gli amministratori comunali di Castroreale rinviano il giuramento di fedeltà a Carlo VI 11 ottobre. S’attendevano dal detto signor comandante gli giurati della città del Castro Reale - conforme gli altri - per rendersi uniformi col solito giuramento. Ma questi sempre stimandosi arroganti nonché [non solo, ndr] dal medemo signor comandante e loro officiali, pure da questi abitatori (quando che regnava in loro solamente la superbia meschiata coll’imperizia). Ma la loro tardanza avea dato motivo al comandante sudetto di procedersi con il rigore giustificato, non avendosi posto in opra e per la molta sua bontà, [così] come per aversi colorito detti giurati con molti raggiri - benché indiscreti - e colle scuse a loro parere proporzionate per mezzo di molte lettere dirette pure a diversi loro amici per ammettersi la procrastinazione.
 
12 ottobre 1719
Navigli carichi di bombe ed altri ordigni bellici giungono da Napoli con destinazione Messina 12 ottobre. Approdò nel porto una galera di Napoli, scortando molte tartane per conferirsi nella città di Messina. Venute da Napoli, [erano] cariche di bombe ed altri instrumenti bellici. E fatta la partenza per quella città, sovragionto il mal tempo, furono forzati retornare in porto.
 
A causa della presenza di truppe spagnole nella Piana si inibisce ai contadini dell’hinterland di recarsi nel centro urbano per vendere vettovaglie S’osservarono da questa città, oltre la relazione veridica avuta, esservi in questa Piana molte truppe di spagnuoli a cavallo, facendo molte scorrerie. Peronde da nuovo si proibì la comunicazione di quelli villani, li quali dalla Comarca conducevano alcuni viveri per venderli. Del che redondava il sollievo di questa città affamata per la grave scarsezza d’ogni vettovaglia.
 
13 ottobre 1719
Giunge notizia della partenza degli Spagnoli dalla Piana. S’ipotizza un attacco alla Cittadella di Messina 13 ottobre. S’indagò con ogn’attenzione da questo signor comandante se gli nemici spagnuoli persistessero in questa Piana e lochi convicini. E s’ebbe la notizia veridica che s’avessero partito, non comparendo alcun di essi.
In questo giorno s’intese cossì frequente, dall’alba sino a sera, il rimbombo delle cannonate disparate nella città di Messina. Che si credette senz’alcun difficoltà avesse seguito qualche gross’attacco a quella Cittadella. E s’attendevano con molt’ansietà le relazioni per sapersi il tutto, poiché colla resa di quella fortezza s’avrebbe sollevato questa Piazza dalla carestia, allargandosi la Comarca con il commercio, fugati gli Spagnuoli.
 
14 ottobre 1719
Parte finalmente per Messina la galera bloccata nel Porto di Milazzo dalle avversità meteorologiche 14 ottobre. Partì la galera di Napoli per Messina sequestrata in questo porto per il vento contrario. E pure s’intesero in molta quantità le cannonate in quella città.
 
15 ottobre 1719
Malgrado il giuramento di fedeltà all’Imperatore, proseguono le angherie e prepotenze dei cittadini di Pozzo di Gotto ai danni dei Milazzesi 15 ottobre. Con tutto che avessero venuto all’obedienza gli giurati di Puzzo di Gotto, prestando il solito giuramento (a nome di quelli abitatori) di fedeltà al nostro re Carlo Terzo (come si scrisse), non perciò cessò la loro fellonia, volendo in ogni modo demostrarsi nemici aperti di questa città e loro cittadini, rubando sfacciatamente. E non solo quando s’incontrava l’occasione, pure cercandola per sempre. Il che si verificò che gli villani di essa città, guidati da Don Francesco Oliveri, pretendevano sei bovi del fu Pietro Guerrera da potere di Giovanni Maccagnano, bogaro [bovaro], col pretesto che esso d’Oliveri gli giorni scorsi [precedenti, ndr] avea pagato alli villani - che d’ordine delli Spagnuoli aveano retrovato detti bovi - onze due e tarì ventiquattro per le loro spese. E benché esso di Maccagnano avesse fatto ricorso agli amici - colla rappresentazione che Paolo Zangla, collega del medemo di Oliveri, s’avea rubbato venti genovini dati per mezzo del sacerdote Don Giuseppe Lombardo - non perciò esso d’Oliveri si placò. Anzi minacciò al Maccagnano che - nonostante che gli Spagnuoli s’avessero allontanato - avea lui formalità di prendersi tutti sudetti sei bovi, pure dentro la città di Melazzo. Perloché, inviando più volte [emissari d]al signor Don Alberto di Marco - possessore di detti bovi, per aversi maritato con una nepote del detto fu di Guerrera - per [ottenere] detta somma richiesta, anzi senz’alcuna vergogna inviò a Don [segue lacuna nella copia, ndr] Oliveri, figlio di Don Diego suo fratello, in questa città dal detto signor di Marco affinché con detta somma [g]li comprasse un taglio di saia calamandra [tipologia di tessuto, ndr]. Ed infine, per non soggiacersi a maggiori inconvenienti, si pagò detta somma. Anzi, fu costretto il detto di Marco vendersi detti bovi per timore di non esserli presi, tanto più che si tenevano nella Piana con ogni custodia. Del che si può considerare l’ostinata presunzione delli puzzogottesi, la quale seguì per l’avvenire peggio di prima, come si racconterà.
 
Continuano le diserzioni nell’esercito spagnolo In questo giorno desertarono molti soldati spagnuoli dalle loro squadre, le quali si ritrovavano facendo scorrerie e nella Piana e [nella] Comarca. E per esser alcuni di detti fuggitivi di cavallo, si venderono questi li cavalli e tutti l’arme e furono imbarcati per fori regno.
 
16 ottobre 1719
Giungono in città tremila militari austriaci sia di fanteria che di cavalleria. I fanti ospitati in parte nel Quartiere degli Spagnoli, mentre la cavalleria al di fuori delle mura urbiche 16 ottobre. Vennero in questa città tremila soldati tudeschi, alcuni di cavalleria ed alcuni di fanteria. Furono tutti li fanti alloggiati nel Quartiero delli Spagnuoli nominato ed in altre parti in città. E quei di cavalleria fori le porte. Avendosi dato ordine dal signor comandante della Piazza che tanto questi venuti da Napoli e Calabria ultimamente, quanto quei che erano di presidio in questa, dovessero stare allestiti per tutte l’occorrenze che puotessero intervenire.
 
17 ottobre 1719
Gli imperiali danneggiano nella Piana le proprietà di alcuni civili, costretti di conseguenza a rivolgersi all’autorità militare cittadina 17 ottobre. Questa mattina uscirono in campagna, scorrendo per tutta questa Piana, molte squadre di cavalleria tudesca. Ma questi, con tutto che avessero tenuto in freno gli spagnuoli con farli slogare dal territorio, consumarono ogni cosa, assassinando tutte le case. E non puotendo far altro, rompevano tutte le porte, solo per far guadagno di poca somma nella vendita delle serrature, chiodi e ferri che ritrovavano e nelle porte e [nelle] fenestre. Tanto che si dispergeva in pezzi una porta di valuta di onze due (anzi più) per raccogliere il ferro di minimo prezzo. Per certo che pratticarono con molt’insolenza. Alcuni bensì, non puotendo aver campo nella dimora, caricarono gli legni sopra li cavalli per venderseli in città. Onde dalli principali e cittadini fu necessario ricorrersi al signor comandante della Piazza per togliersi un tal inconveniente insoffribile, poiché s’assassinavano le facoltà degli abitatori solo per un semplice guadagno di pochi grani dalli soldati. Al che detto signor comandante colla sua sperimentata attenzione, avendo riguardo agli interessi di questo publico, diede il riparo necessario.
 
18 ottobre 1719
Bando che vieta ai militari di uscire dalle porte della città, pena la morte 18 ottobre. Poiché in questa mattina si promulgò bando espresso a suono di tamburro - in tutti li posti delli quartieri ove residevano le truppe così di cavalleria come di fanteria - che nessun soldato dovesse uscire fuori delle porte della città per qualunque legittima causa, sotto pena della vita. Anzi previdde tutti li loro officiali che tenessero in freno detti soldati, altrimenti s’avrebbe irremissibilmente adempito l’ordine promulgato.
 
19 ottobre 1719
Si autorizza un numero chiuso di unità di cavalleria a pascolare nel territorio comunale, ma col seguito di alcuni ufficiali per evitare perturbazioni dell’ordine pubblico 19 ottobre. Conoscendo il medemo signor comandante di questa Piazza che realmente la quantità delli cavalli retrovata in questa non si puotea più trattenere per mancanza di foraggi, ritrovandosi scarsezza di paglia ed orgio - del che molto si lamentavano quei officiali che teneano li loro cavalli, non avendo più modo di ritrovarsi orgio e paglia per pascolo di detti cavalli, ancorché col prezzo esorbitante - permise che alcuni cavalli col numero designato si puotessero condurre nel territorio per foraggiare, intervenendo bensì alcuni officiali pure capitani affinché non sieguissero più reclamori e lamentazioni dalli cittadini.
 
Le autorità di Messina pretendono il pagamento dei dazi doganali sulle merci ivi acquistate dai commercianti milazzesi. Nella ricorrenza di S. Luca cade in mano imperiale anche la Cittadella di Messina Vennero da Messina molte persone e popolani di questa città, tra l’altri il signor Saverio Maiolino e Giacomo Castelli, li quali s’avevano conferito in quella città per far compra di molte merci e panni. E riferirono che gli Messinesi pretendevano l’esigenza delle gabelle e dogana sopra dette robbe comprate. Perloché da essi e molt’altri di questa città [di Milazzo] si fece ricorso al signor comandante de Mercij. E da detto signore s’ottenne ordine in scriptis dalla sua segretaria che tutti gli melazzesi fossero esenti dal pagamento di detti pretesi datij [dazi, ndr], per esser franchi come li più fedeli vassalli della Maestà Cesarea e Cattolica da questo Regno. Di più riferirono che il giorno scorso s’avesse reso a patti la gran fortezza della Cittadella, giorno di S. Luca. Ed apparse fatale la resa in tal giorno per essere stata sotto il comando del signor Don Luca Spinola, già fatto Governatore nella città di Messina.
 
20 ottobre 1719
L’assenza di militari spagnoli nella Piana mitiga la carestia 20 ottobre. S’ha ottenuto alcun sollievo nella città, poiché, non avendo comparso li Spagnuoli nella Piana, gli villani della Comarca allo spesso descendono conducendo alcuni viveri. E gli abitatori di questa si sfamavano. Bensì sempre si ritrovava necessità di pane e quello che scarsamente si puotea avere [era] di malissima qualità e condizione. E di peso di onze otto in nove al sottile per ogni grana quattro.
 
Milazzesi imprigionati a Castroreale, città fedele alla corona di Spagna Da più tempo che nella città del Castro Reale si ritrovavano carcerati e trattenuti alcuni villani di questa, tra l’altri Stefano Cambria alias Chero. Li quali, ritrovandosi gli Spagnuoli nella Comarca, furono da lor ordine rimessi in detta città prigionieri. E doppo quelli partiti, con tutto che da questo signor comandante s’avesse ordinato che fossero rimessi, li giurati di detta città recalcitravano non puoter farsi la consegna, dovendo restituirli agli Spagnuoli tutte le volte che avessero retornato. Perloché con ordine rigoroso se li impose che senza dimora alcuna fossero gli detti carcerati rimessi in questa. Ed infatti vennero e, tra l’altri, il signor Don Domenico Tappia alias Barbeo ed un altro forastiero. Bensì questi due l’ultimi furono condotti con molta custodia e ben legati. E nell’instante inviati nel Regio Castello, con aversi gli altri lasciato liberi poiché non aveano delitto alcuno (solamente che come milazzesi retrovati nella Comarca furono arrestati e carcerati). S’osservò allora l’indiscreta arroganza di quelli giurati del Castro, li quali, nonostante non aver sino a quel giorno venuto all’obedienza col motivo che di continuo nel loro territorio retornavano gli Spagnuoli, pure forzatamente pretendevano non rimettere gli carcerati per esser posti a nome delli Spagnuoli. Per certo che non s’avesse osservato l’indiscreto procedere di detti giurati nemeno s’avrebbe dato credenza. E pure cossì sieguì.
 
I prigionieri milazzesi trasferiti a Milazzo su istanza del giudice penale Giovanni Colonna, interessatosi degli stessi su pressioni dei parenti. Come il fratello del detenuto Domenico Tappia, finito in carcere per aver oltraggiato lo stesso Colonna, colpevole di non aver fatto scarcerare a Milazzo il medesimo Domenico Tappia Li sudetti carcerati nel Castro si fecero venire dal signor comandante di questa città a contemplazione [previa istanza, ndr] del signor Don Giovanni Colonna, capitano di giustizia parziale, confidente ed amico del sudetto signor comandante. E per essere stato richiesto esso capitano dalli parenti e congionti delli carcerati espressati. Ed infatti, venuto detto di Tappia, si pretendea dal signor Don Antonino Tappia, suo fratello, che nemeno s’inviasse nelle carceri, volendo che stesse in città con la sua bona ed in sua parola. Ma per aversi avuto notizia che detto di Tappia Barbeo, allorché fu posto carcerato, si processe per causa d’un furto successo nella città di Puzzo di Gotto in casa di Gerolamo Calì, con l’intelligenza d’una sua figlia, la quale pretendea congiungersi in matrimonio col detto di Tappia. Quando peraltro questi avea promesso sposarsi [segue lacuna nella copia, omesso il nominativo della promessa sposa, ndr]. E per altra cagioni di considerazioni e perché detto di Colonna capitano, a cui fu fatta la rimessa del Tappia, non vuolse condescendere all’inchiesta del fratello, anzi questi, eccedendo nelle parole, pure fu posto nelle carceri di detto Regio Castello per l’indiscretezza avuta col detto signor capitano. Bensì il giorno sequente fu scarcerato esso solo, restando il fratello sequestrato in dette carceri.
 
21 ottobre 1719
Confermata la resa della Cittadella di Messina 21 ottobre. Vennero da Messina molti paesani di questa, oltre diversi tudeschi officiali. E confermarono la resa della Cittadella con molte circostanze circa l’uscita delli Spagnuoli da detta fortezza. Ed alcune specialità, allorché si rendette. Ma per non esser mia intenzione notare quello che seguì in altre parti del Regno, solamente quello che passò in questa città, oltreché si descriverà con tutta specialità da chi si ritrovò in quella città. E perciò si passa il tutto in silenzio.
 
22 ottobre 1719
Evasione dal Castello di Milazzo del detenuto Domenico Tappia 22 ottobre. Per l’offizio del detto signor comandante della Piazza si presero l’informazioni contro il sudetto Don Domenico Tappia Barbeo, stante che nella città di Puzzo di Gotto questi più volte si metteva a cavallo colla spada sfoderata in mano, facendosi capo-popolo a favore delli Spagnuoli, acclamando per Re a Filippo Quinto in questo Regno. Anzi erano bastonati quei che non concorrevano nell’acclamazione. E per altri delitti. Anzi, conoscendosi esser questi molti scaltro e sagace, s’avea dato comando ed ordine al carcerario che fosse custodito ben serrato senza darsi il piano. Ma detto signor capitano di Colonna, o per contemplazione delli suoi congionti o per sua propria trascuraggine, non fece eseguire l’ordine dato dal signor comandante. E seguì doppo che il sudetto di Tappia di giorno se ne uscì dalla porta di detto Castello con ogni disinvoltura, trasmeschiandosi con molti soldati.
 
23 ottobre 1719
La carestia continua a tormentare la popolazione ed il pane viene razionato 23 ottobre. Ha continuato al maggior segno la carestia in città d’ogni sorte di viveri. Ed il pane s’ha posto all’archivio, dandosi al capocento, essendo onze nove per ogni quattro grana di malissima qualità. E benché fosse stato meschiato di farine di luppini ed altre biade, almeno s’avesse fatto cotto. E pure per la necessità si mangiava e molte volte mancò nel luogo deputato. E si puotevano commiserare l’afflizioni e lamenti delli poveri plebei e femine, allorché li faltava [mancava, ndr] pure il puoco pane che se l’era designato ogni giorno, essendo per l’ordinario grana quattro per testa. E sovente si scemava a grana due il giorno. Almeno non s’avesse mancato alli poveretti, li quali assoldavano l’aria colle voci pietose e piene di mal talento, per aversi conosciuto che la mancanza della loro porzione di pane, già stabilita, si denegava per compiacersi gli amici delli distribuitori del pane. O servendoli per uso proprio o per rimetterlo fori la città, o per li loro metatieri ed inquilini. O pure per servizio delli paesani della Comarca. Poiché in questa di continuo faltava il pane. E quello che si dispensava era di meno peso e di più pessima condizione di quello che si ritrovava in questa città, mangiandosi ordinariamente pane o d’orgio o d’altro consimile. E poi facendosi reflessione tutte le volte che s’avesse in questa città dispensato per intiero. Come si puotevano sostentare specialmente gli poveri travagliatori con onze nove di pane il giorno e più delle volte colla metà, reducendosi ad onze quattro e mezza? Tanto più che tolto il pane non si ritrovavano né legumi, né pasta, né frutti, né riso, né formaggi, nemeno erbe. Anzi, non apparevano né tonnine di qualunque specie, né sarde. Di più né carni, né grosse né minute. E queste alcune volte in picciola quantità. E di più il vino a grana otto il quartuccio, qual venia di Napoli e Calabria tinto con molti minerali e radiche. E cossì come si potea sfamare la povera città? E pure per misericordia del sommo Dio si sostentavano gli poveri abitatori, consolandosi almeno che gli patimenti che soffrivano erano per servizio d’una Maestà clementissima, qual era l’augustissimo Imperadore. E siccome stavano sicurissimi essere questa loro città differenziata dall’altre nel Regno nella fedeltà sperimentata - il che publicamente attestavano tutti gli signori comandanti e generali venuti a defensione di questa città, inviati dal nostro sovrano - altretanto speravano che la Cesarea e Cattolica Maestà avrebbe con ogni munificenza e liberalità contribuito quella mercede che l’avrebbe parso proporzionata. Ed infine, pregiandosi solamente della loro fedeltà, s’appagavano con questo titolo da nessun altra città nel Regno meritata [Leale e Fedele Città di Melazzo, ndr].
 
24 ottobre 1719
Gli amministratori cittadini, allo scopo di alleviare i disagi della carestia, fanno istanza - more solito - all’autorità militare cittadina affinché venga erogata alla popolazione una porzione delle farine destinate alle truppe imperiali. Ma la loro richiesta non viene accolta 24 ottobre. Persistendo vivamente la carestia, né ritrovandosi formalità di sostentarsi la povera città, mancando specialmente il pane, gli spettabili giurati di continuo ricorreano al signor comandante della Piazza si compiacesse somministrare qualche puoco di farine repostate nelli magazeni per servizio delle truppe cesaree che residevano in questa [città]. E benché la bontà del comandante più e più volte avesse condesceso alle suppliche delli giurati colla dispensa delle dette farine - in qualche porzione per non perirsi dell’intutto gli poveri abitatori di pura fame - nondimeno si protestò che per l’avvenire non puotea esitare minima porzione di dette farine per essere state deputate per le loro truppe. Onde gli giurati, vedendosi senz’alcuna speme di ottener dette farine come per il passato, risolsero ricorrere al signor generale de Mercij in Messina.
 
25 ottobre 1719
Malgrado le problematiche connesse al conflitto bellico, si programma uno spettacolo all’interno della Cittadella. Ma difficoltà varie non rendono possibile l’evento 25 ottobre. Con tutto che in questa città s’avesse stato con molte afflizioni tanto per la perdita di tutti gli effetti stabili e case, senz’aver molti nemeno luogo per abitare, come pure per l’imminente carestia d’ogni vettovaglia e di pane, nondimeno, appagandosi gli cittadini aver tutto ciò seguito in servizio di sua Maestà Cesarea e Catolica, anzi volendo demostrare la finezza della loro fedeltà, avuta la notizia della resa della Cittadella di Messina, si propose mettersi in campo una comedia per rappresentarsi in questa Accademia, luogo proporzionato posto nella Cittadella [verisimilmente nell’ex Matrice di S. Maria, ndr]. E concesso per privilegio con facoltà d’eligersi pure il Principe. Ma non si puotè effettuare il desiderio degli abitatori per molte cagioni, le quali tutte si tralasciano, numerandosi una sola: che la maggior parte delli musici non era retirata in città e nemeno delli comici. E così, volendosi festeggiare in applauso dell’arme cesaree tante vittoriose in puoco tempo, stante la bravura delle truppe tudesche scortate dagli loro signori generali e comandanti, non si puotè metter in opra. Fu ben vero che il brio dell’abitatori avrebbe condisceso volentieri, se non s’avessero interposto tant’ostacoli di considerazione.
 
26 ottobre 1719
Prosegue il razionamento del pane 26 ottobre. In questo giorno non si puotè dispensare nell’archivio più di grana due di pane a testa. E forse alcuni restarono senz’averlo, poiché s’effettuava la dispensa nell’alba. E quei poveri li quali in quell’ora non puotevano andare, o meglio per non avere procurato il denaro per la loro miseria, trascurato puoco tempo si serrava l’archivio e quei restavano digiuni.
 
27 ottobre 1719
Per ottenere le farine delle truppe, necessarie per alleviare la carestia della popolazione, uno degli amministratori comunali si reca a Messina dal conte di Mercy 27ottobre. Si partì da questa per la città di Messina lo spettabile signor Don Francesco D’Anselmo, uno delli giurati, per rappresentare al signor generale de Mercij la penuaria [penuria, ndr] della città, affinché si compiacesse contribuirle alcuna porzione di farine. Giaché se ne ritrovavano repostate in magazeni per le truppe in molta quantità, portando lettere del signor comandante per accerto del vero sopra l’urgente necessità di tutto questo publico.
 
Scarcerati alcuni marinai che avevano eseguito diversi trasporti a favore delle truppe spagnole Da più giorni furono trasportati in questa città da quella di Lipari, inviati da quel signor comandante a questo che governa nella Piazza, Francesco Cambria, Antonino Rando, Onofrio Firmanò, Vincenzo Minuta, Francesco Passanisi, Carmino Maiorca, Gioachino Falconi, Francesco Viglialba, Gaetano Cambria e Giuseppe Baratto, marinari e di questa città e d’altra parte. Li quali furono presi colle loro feluche dalli corsari di Lipari in tempo che quella città si rendette a descrizione dell’arme imperiali, avendo lasciato l’obedienza e vassallaggio del Re di Spagna. E spogliati in tutto, doppo aver rimasto carcerati in quelle carceri, furono rimessi a questo signor comandante, dal quale pure [furono] carcerati nel Regio Castello. In questo giorno il sudetto di Baratto fu scarcerato e l’altri sussequentemente ottennero l’istesso. Poiché, pratticata la loro causa, sempre affermavano che, ritrovandosi colle loro felughe scorrendo il Regno, furono presi dalli Spagnuoli e fu loro necessario - e per puoter vivere e per non perder le loro barche - navigare trasportando e viveri e provisioni di guerra. Ed alle volte officiali spagnuoli.
 
28 ottobre 1719
Proseguono le scorrerie nella Piana da parte dei militari spagnoli e dei malviventi dell’hinterland A 28 ottobre. Assecondate molte truppe spagnuole dalli paesani di questa Comarca, particolarmente da quei di Puzzo di Gotto e del Castro, nelli quali si dichiaravano più affezzionati Don Francesco Oliveri e Paolo Zangla, arrischiarono scorrere tutta questa Piana, predando tutto quello se l’incontrava. Anzi, molti paesani di essa Comarca, non puotendo rubbar altro, reducevano [portavano via, ndr] quelle botti che si ritrovavano in fascio con lo trasporto per le loro cavalcature.
 
29, 30 e 31 ottobre 1719
Cavalleria spagnola a Castroreale A 29, 30 e 31 ottobre. Venne notizia veridica che in questo giorno molte squadre di cavalleria spagnuola si ritrovavano nella fiumara della città del Castroreale, colle quali erano accompagnati li sudetti di Zangla ed Oliveri. E persistettero per molti giorni.
 
1 novembre 1719
Notizie da Messina sulla ricostruzione di quella Cittadella a spese del ceto mercantile A primo novembre. Venne notizia che il signor generale de Mercij ordinò che gli mercadanti di Messina, a loro proprie spese, redificassero la Cittadella. Bensì doppo s’intese che questi avessero concorso in alcuna composizione, poiché s’attese doppo la resa di quella fortezza a redursi come prima. Anzi, più meglio.
 
2 novembre 1719
Luminarie in città e Te Deum nella chiesa madre per celebrare la conquista della Cittadella di Messina A 2 novembre. D’ordine delli spettabili giurati di questa città si promulgò bando publico per il quale si comandava che per tre sere continue si facesse una luminaria generale da tutti l’abitatori di qualunque condizione, dovendosi pure per la domenica ventura farsi la funzione sollenne nella Matrice con il Te Deum per la vittoria avuta dall’arme di Sua Maestà  Cesarea e Catolica nella conquista della Cittadella della Città di Messina. Con dover intervenire tutti gli nobili della città con molta pompa, per rendersi più conspicua la ceremonia. Ed infatti in questa sera s’accesero molti fuochi nelle fenestre d’ogni abitazione, non tanto per l’ordine imposto, quanto per il genio avuto da tutti quest’abitatori, così principali come cittadini e plebei, per gli avanzi del nostro monarca l’Imperadore augustissimo.
 
3 novembre 1719
Ancora disertori spagnoli e luminarie. Scarcerati diversi padroni marittimi di Milazzo e dintorni 3 novembre. Desertarono in questo giorno sette soldati spagnuoli, uno di cavallo e l’altri di fanteria, fuggiti da quelle truppe che scorreano in questa Comarca. E come gli altri desertori, avuta l’occasione d’imbarco, s’inviarono nella Calabria.
Nella notte seguente non cessarono gli fuochi nelle fenestre come l’antecedente [giorno], con molto giubilo di tutti per la vittoria conseguita.
Furono condotti dalla città di Lipari li sequenti marinari milazzesi, cioè: patron Francesco Pipitò, patron Francesco Sangiorgio, patron Antonino Ventimiglia, patron Domenico Di Natale, patron Stefano D’Amico, patron Paolino La Malfa, patron Gaetano Buccellata, patron Francesco Di Flavia, patron Francesco Di Vico, patron Francesco Alecci, patron Rocco Falcuni, patron Nunzio Martino e patron Francesco Spataro. Li quali per molti giorni si ritrovavano carcerati in quella città a causa che colle loro felughe, ritrovandosi fori di questa città, serviano gli Spagnuoli, per essere stati da quelli presi nelle marine e spiagge dominate da essi. E redotta l’isola di Lipari all’obedienza di Sua Maestà Cesarea e Catolica, siccome molte barche pria scorreano questi mari a favore di detti Spagnuoli, doppo seguirono l’istesso a favore della Maestà di Carlo Terzo. E nelle scorrerie restarono prigionieri li sudetti marinari di questa [città], benché alcuni d’essi fossero stati d’altre parti. Ed alla fine furono condotti a questo signor comandante, dal quale si diede ordine che fossero stati carcerati in questo Regio Castello. Ma doppo alcuni giorni, conoscendosi la loro innocenza, furono tutti scarcerati.
 
4 novembre 1719
Misteriosa assenza della massima autorità militare cittadina 4 novembre. Non comparsa l’alba, impensatamente questo signor coronello comandante nella Piazza partì per la città di Messina a cavallo. Si publicò che, dovendosi festeggiare nella Matrice cantandosi il Te Deum per la vittoria nella conquista della Cittadella in Messina, volesse precedere nel luogo il [volesse primeggiare sul, ndr] signor generale [segue lacuna nella copia, ndr], qual si ritrovava in questa città. E detto comandante s’avesse fatto assente colla sua partenza per togliersi l’inconveniente, se pur ciò fu cagione. Bensì d’alcuni s’affermava che avesse andato in Messina per negozio speciale da conferirsi col signor generale de Mercij. Non si può saper la certezza.
 
Si celebra il Te Deum nell’allora chiesa madre, odierno Duomo antico. Gli amministratori comunali, il generale e gli altri ufficiali imperiali assistono in piedi alla funzione, malgrado di notevole di durata Ad ora proporzionata gli giurati si congregarono con tutta la nobilità, conferendosi nella Matrice chiesa nella Cittadella, ove pure intervennero molti officiali tudeschi, fra’ quali si ritrovò il sudetto signor generale, tutti con molta pompa. Bensì essi giurati non s’assisero nel loro solito solio [soglio, ndr], ma per tutta la funzione, nella quale si cantò il Te Deum, dal choro de’ musici. Unitamente con la messa del reverendo archiprete ed il clero, sempre persistettero in piedi come sudetto signor generale [e] con l’altri officiali, con tutto che la funzione avesse durato più ore.